La “vie de château”. Il castello di Rivalta tra Otto e Novecento

a cura di Laura Gallo ed Enrico Martino

Premessa

Come tutti i bambini rivaltesi, da piccola ero affascinata dal castello: passando davanti all’ingresso osservavo sempre con attenzione il grande portone di legno, sperando di vederlo aperto per poter strappare un’occhiata all’interno. Invece era sempre inesorabilmente chiuso. Mi accontentavo allora di guardare il fossato con i suoi rigogliosi arbusti, le aucube verdi e gialle, la porta murata, su cui chiedevo costantemente informazioni a mio nonno. Solo una volta ero riuscita a entrare. Un sabato mattina di primavera la proprietaria di allora, la signora Luisa Pogliano, amica d’infanzia di mio papà, incontrandolo dopo alcuni anni, ci aveva invitati nel giardino. Varcare il portone è stata un’emozione grandissima; siamo rimasti una mezz’ora con lei a passeggiare tra le aiuole e i grandi alberi e infine ci siamo seduti sotto la magnolia.
Quando ho ritrovato l’Archivio Martino ho rivissuto l’emozione di quella mattina: sfogliare gli album perfettamente conservati con è stato solo come varcare di nuovo la soglia del castello, in cui nel frattempo, dopo l’acquisto da parte del Comune del 2006, ero entrata più volte: da quelle pagine è emerso un mondo passato, che nonostante appartenga solo a un secolo fa, sembrava in parte cancellato per sempre dalle trasformazioni subite dall’edificio negli anni Sessanta. Le fotografie, al di là della loro bellezza, della qualità e del valore storico, essendo di inizio Novecento, quando a cimentarsi con questa tecnica erano pochi facoltosi amatori (basti pensare alle coeve immagini scattate ai propri figli nel parco del castello di Racconigi dalla regina Elena, appassionata fotografa), ci permettono di rivedere per un attimo l’ultima stagione artisticamente importante del castello rivaltese, documentandone anche gli interventi decorativi realizzati nell’Ottocento.
Le centinaia di lastre conservate con grande cura dagli eredi di Secondo Martino, nelle scatole di legno originali, con i loro schedari numerati, o negli album, ci restituiscono scorci inediti dell’edificio, del giardino, del parco, della villa affacciata su via Griva, ereditata da Martino nel 1905.
In questo materiale non rinascono solamente le architetture, gli spazi, le vie di Rivalta, le campagne circostanti, ma anche la vita, i momenti quotidiani di una famiglia della ricca borghesia industriale di allora, che animava le proprie giornate e ingannava il tempo con feste mascherate organizzate nel parco, scampagnate in automobile, da Aosta a Courmayeur, partite a bocce e a tennis, o andando a caccia della collina rivaltese, documentando questi momenti felici attraverso la fotografia.

Questa realtà insolita per la Rivalta di quegli anni si intreccia alla tranquilla e appartata quotidianità del paese agricolo: l’automobile di Secondo Martino, come un’astronave proveniente da chissà quali mondi lontani, percorre una delle tante strade sterrate fra i campi, appena fuori dal paese, mentre sullo sfondo si staglia il profilo del castello. Le immagini di Rivalta convivono nelle scatole di legno con gli scatti che ritraggono i festeggiamenti per le celebrazioni del primo Cinquantenario dell’Italia unita, nel 1911, con i sindaci che sfilano a piedi a Torino, con le grandi navi pronte a salpare per l’America dal porto di Napoli, con gli scatti della costruzione della ferrovia canavesana, o con quelli delle prime partite di calcio in Piazza d’Armi.
La passione per la fotografia da parte di Martino e di sua moglie Ersilia Kerbaker è la testimonianza dell’attenzione rivolta dall’industriale torinese verso tutti i mezzi tecnologici e le più recenti scoperte del progresso e si allinea dunque agli altri suoi interessi, come quello per i motori, basti pensare all’automobile, o per gli aereoplani, con cui lo vediamo ritratto in alcune immagini.

Numerosi sono gli scatti che mostrano Ersilia dietro la macchina fotografica, intenta a ritrarre i propri figli, mentre circondata da amici, alle prese con il cavalletto, immortala i due grossi cani nel giardini della villa e nel parco del castello, alcuni soldati o suo padre il professore torinese, poi trasferitosi a Napoli, Michele Kerbaker, studioso di lettere classiche e di orientalistica.

Le immagini dell’archivio ci permettono dunque di ricomporre questo mosaico di vita rivaltese, colmando il vuoto esistente fra la documentazione iconografica ottocentesca del castello, più volte ritratto negli acquerelli di De Gubernatis, nei disegni di Rovere, nelle litografie dei Gonin, e il suo aspetto attuale, aggiungendo una nota intima, famigliare, poetica, attraverso le presenze, gli sguardi, i volti di chi in quegli anni lo ha abitato e amato.